Siamo state felicissime di poter intervistare per il nostro blog Marianna D’Eziotraduttrice di Jane Eyre per Giunti editore (2011) ma anche docente universitaria di Lingua e traduzione inglese a Roma e grande esperta di letteratura. Marianna è l’ ospite perfetto per noi, non solo per la sua disponibilità e gentilezza, ma anche perché i suoi studi si focalizzano nello specifico sulla letteratura dell’Ottocento, la letteratura di viaggio e le donne scrittrici! Tutti temi a noi molto cari, e siamo certe che lo siano anche a voi lettori di The Sisters’ Room.. non perdetevi allora questa bella intervista, e scoprite chi c’è dietro la traduzione di uno dei romanzi bronteani più amati.

– Cara Marianna, da dove nasce la tua passione per la lingua e la cultura inglese, e perché hai deciso di diventare traduttrice?

La mia passione per la lingua e soprattutto per la letteratura inglese nasce dal privilegio che mi è stato concesso, sia a scuola, sia all’università, di avere insegnanti – tra l’altro tutte donne, e non credo affatto sia un caso! – che sono state capaci di farmi amare la letteratura e di trasmettermi la loro stessa passione per Shakespeare, Jane Austen, le sorelle Brontë, ecc… I miei ricordi più belli della scuola superiore, ad esempio, sono legati agli appunti di ciascuna opera shakespeariana che la mia insegnante vergava di proprio pugno (all’epoca al massimo si poteva scrivere a macchina, ma forse per lei era più veloce farlo a mano) e che faceva circolare in fotocopie che conservo ancora. All’università poi ho avuto l’onore di scoprire autori e autrici a me sconosciuti, come le drammaturghe inglesi degli anni ’60 e ’70 (Caryl Churchill, Timberlake Wertenbaker, etc.), a cui mi sono appassionata, e soprattutto la mia Emily Dickinson. Infine, durante gli anni del dottorato, i miei maestri mi hanno svelato il fascino del Settecento, che mi è rimasto nel cuore e nell’anima e che da molti anni non è soltanto il mio campo di studi e di ricerche, ma anche un porto sicuro a cui poter sempre ricondurre l’origine delle mie idee e di tutto ciò che è alla base della persona che sono oggi. L’esperienza della traduzione di per sé invece è nata quasi per caso: avevo iniziato a tradurre, come molti, soprattutto per motivazioni economiche e, per quanto le traduzioni verso l’italiano fossero pagate assai poco rispetto a quelle, per esempio, dal cinese o dall’arabo o dal russo, si trattava comunque di un impegno che potevo gestire facilmente all’interno degli orari impossibili di una free lance che vive in una grande città come Roma. Poi però è arrivata la richiesta di tradurre Jane Eyre… che non soltanto era uno dei miei romanzi preferiti in assoluto, ma era anche l’opera letteraria con cui avevo inaugurato la mia passione per la critica letteraria scrivendo e pubblicando il mio primo saggio in una piccola rivista letteraria – insomma, sembra proprio che a Jane Eyre io debba davvero molto, sotto molti punti di vista.

– Sappiamo che nei tuoi studi approfondisci in modo particolare le figure femminili del mondo della letteratura: che impronta pensi abbiano lasciato le sorelle Brontë nella letteratura del loro secolo?

Con il tempo ho imparato ad amare le sorelle Brontë per diversi motivi; il loro fascino mi ha sempre conquistata, sin da quando, al liceo, la famosa insegnante di cui sopra ci fece vedere la versione cinematografica di Wuthering Heights con Laurence Olivier. In realtà però io credo che l’impatto delle sorelle Brontë vada ben oltre la possibilità di raggiungere ogni tipologia di pubblico, sia il pubblico lettore che, ad esempio, il pubblico in un cinema – cosa che indubbiamente, nel corso degli anni, è accaduta (basti pensare alle infinite, davvero infinite, rivisitazioni dei loro romanzi). Il motivo per cui, secondo me, hanno lasciato una traccia indelebile nel mondo letterario è senz’altro da imputarsi al fatto che tutte quante hanno creato personaggi (soprattutto femminili) a un tempo “comuni”, e quindi in cui lettori e lettrici potessero riconoscersi, edeccezionali” per il loro periodo storico. Penso ad esempio alla stessa Jane Eyre, che si sveglia di notte con l’idea fulminea di poter mettere un annuncio su un giornale per trovare un lavoro e riuscire a mantenersi da sola – qualcosa di rivoluzionario per una donna di brughiera nell’era vittoriana, oppure alla povera Bertha rinchiusa nella soffitta di Thornfield Hall, che diventerà un simbolo di riscatto nella bellissima rilettura postcoloniale del suo personaggio compiuta da Jean Rhys nel romanzo Wide Sargasso Sea, del 1966.

– Nel 2011 hai tradotto Jane Eyre per la Giunti: c’è qualche passo che ami in particolar modo e che ti ha dato maggior soddisfazione tradurre?

Sono molti i passi che ho amato in Jane Eyre e a cui ripenso spesso, soprattutto quando mi capita di fare lezione e fare, appunto, riferimento alla mia traduzione. Forse ce n’è uno in particolare che ricordo con piacere, perché mi ha fatta sentire profondamente fiera di Jane e mi ha permesso di comprendere fino in fondo il senso vero del romanzo per una lettrice e traduttrice. Si tratta della scena in cui Mrs. Reed, che è molto malata, manda a chiamare Jane, che in quel momento si trova a Thornfield Hall, per chiederle di tornare a Gateshead ad assisterla in punto di morte. Jane a quel punto deve comunicare la propria assenza dal lavoro a Rochester.
Il dialogo tra i due è incentrato sul potere che Rochester crede di avere su Jane per via della propria estrazione sociale e della propria disponibilità economica: lui, ad esempio, tira fuori un “portafogli” per pagarle quanto dovuto, lei invece ha soltanto un “borsellino”; tuttavia, Jane non manca di sottolineare che se Rochester vorrà darle più del dovuto perché lei non ha resto da dargli, allora lei sarà in debito, ma al contrario, se lui dovesse darle meno dell’effettivo ammontare dello stipendio dovuto, allora sarebbe lui in debito con lei, e ciò non è possibile, perché si tratta di un rapporto di lavoro in cui Rochester, il datore di lavoro, non può e non deve permettersi di pagarla meno di quanto pattuito. Ecco, secondo me questo dialogo, più di molti altri passi che potrei citare, mi ha “istruita” su come rendere al meglio la voce di Jane, una voce forte e perentoria, di una donna che ha rispetto di sé, del proprio livello di istruzione e del proprio ruolo nella società, indipendentemente dal denaro che ha nel “borsellino”

– Qual è stato l’aspetto più difficile della traduzione di Jane Eyre?

Due sono stati gli aspetti più difficili da rendere in traduzione, uno dei quali, ahimè, è diventato una rinuncia, come spesso accade in traduzione. Si tratta dei nomi dei luoghi attraverso cui si sviluppano le vicende di Jane e che, per forza di cose, non ho potuto tradurre. Gateshead, Lowood, Thornfield, tutti questi nomi rappresentano simbolicamente ciò che Jane si trova a dover affrontare di volta in volta, le prove che dovrà superare. È stata una rinuncia dolorosa. Ancora più difficoltose sono state invece le descrizioni dei paesaggi della brughiera, e in particolare quelle presenti nell’ultima parte del romanzo, a Moor House e nei dintorni, perché, credo, si tratta sempre di più di un ambiente e di paesaggi fortemente simbolici, soprattutto nella scena in cui St. Johns chiede a Jane di sposarlo e di seguirlo in India. Ho questi paesaggi ancora chiarissimi ed estremamente vividi nella mente come in una sorta di ricordo visivo, ma tradurli in parole è tutta un’altra questione.

– E per finire, qual è il tuo romanzo brontëano preferito e perché?

Come avrete capito, il mio romanzo brontëano preferito è senza dubbio Jane Eyre, anche se la “battaglia” con Wuthering Heights è ardua… In realtà amo entrambi, ma in modi diversi, e soprattutto in momenti diversi della vita. Ci sono periodi in cui mi sento più vicina a Catherine e/o a Heathcliff, altri invece in cui sono più “Jane”, a dimostrazione del fatto che i romanzi delle sorelle Brontë, senza nulla togliere ad Anne e al suo magnifico The Tenant of Wildfell Hall, sono cari ai lettori proprio perché in loro possiamo ritrovarci e ci accompagnano nel corso della vita, scandendone i momenti e caratterizzandone la progressione.

 

Ti è piaciuta questa intervista? Anche i tuoi libri preferiti sono Jane Eyre e Wuthering Heights e sei curioso di sapere qualcosa in più sulla brughiera? Allora non puoi perderti questi articoliL’ospite del giorno: Johnnie Briggs, Blue Badge Tour GuideDalla finestra: Top Withens,  Fiori fucsia in brughiera – articolo e foto di Maddalena De Leo, .