Ricorre oggi l’anniversario di morte di Patrick Branwell Brontë, e noi vogliamo raccontarvi qualcosa di nuovo riguardo questo fratello oscuro, che in questo 2017 abbiamo imparato a conoscere un pochino meglio, grazie ai riflettori puntati su di lui per la ricorrenza del suo bicentenario di nascita, e grazie anche, a nostro avviso, a To Walk Invisible, lo sceneggiato della BBC interamente dedicato alla vita delle sorelle Brontë. Quest’anno eravamo molto curiose di andare a vedere la mostra con gli abiti, gli accessori e gli arredi scenici dal set di questo sceneggiato al Brontë Parsonage Museum, e le nostre aspettative sono state di gran lunga superate, quando lo scorso agosto abbiamo varcato di nuovo la soglia del nostro museo preferito.

In tutte le stanze è possibile vedere diversi oggetti e accessori direttamente dal film: gli abiti accuratamente creati da Tom Pye e dagli esperti del settore, alcune repliche di oggetti personali, ma la vera sorpresa vi attende al piano di sopra, nello studio di Branwell, che è stato ricostruito esattamente così come lo vediamo in To Walk Invisible. Una stanza buia e disordinata; fogli di bozze, lettere e giornali sparsi ovunque; un letto sfatto; sulle pareti si affollano schizzi abbozzati, studi di paesaggi e ritratti; penne, pennini, calamai e pennelli, cavalletti, fogli macchiati di inchiostro. Non manca, come sempre, un’attenzione certosina, una cura del dettaglio: una bottiglia vuota abbandonata rovesciata in un angolo; uno dei suoi schizzi più famosi, A Parody, in cima a una pila di fogli sulla scrivania. Ovunque regna il caos più totale, non si fatica a immaginare che questa ricostruzione non sia poi così lontana da quella che può essere stata la realtà.

Ha fatto molto discutere, To Walk Invisible, soprattutto per il ruolo quasi da protagonista che indirettamente riserva appunto a Branwell. Branwell che è prepotente; Branwell che è uno sconsiderato, un violento, un ubriacone; Branwell che è un fallito e che interferisce con il quieto vivere della famiglia.

Abbiamo letto e ascoltato molti pareri su questo sceneggiato, e la cosa che ci ha colpite di più è stato un sentire piuttosto comune per cui gli spettatori si aspettavano più attenzione sulle sorelle, e meno su di lui, che dopotutto, non è mica passato alla storia per qualche merito specifico. Probabilmente è vero, quando si parla di Branwell più che alle lodi si pensa ai biasimi, più che i successi, si contano i fallimentiPer quel che è stato il nostro approccio alla sua figura però, una cosa ci risulta fondamentale alla comprensione sia della sua vita, che di quella delle sorelle, e cioè che, così com’era, Branwell è stato parte integrante della loro formazione umana e professionale. Il fatto che, se misuriamo con i criteri degli echi immortali della letteratura inglese, non abbia lasciato nessuna traccia degna di entrare a far parte della rosa dorata dei capolavori che tutt’oggi ricordiamo, o il fatto che, a livello umano, fosse la pecora nera in casa, non significa che non vada ricordato, che non abbia avuto un ruolo cruciale, che sia possibile dimenticarlo. È importante capire in che misura e quanto profondamente la sua vita sia intrecciata, seppur maggiormente dal lato dell’ombra, a quelle luminose delle sorelle. To Walk Invisible non racconta nulla di nuovo, semplicemente non esclude dallo sguardo la zona d’ombra.
È un po’ come passeggiare per il Parsonage, ammirare le stanze ben ordinate e organizzate, e poi, di colpo, ritrovarsi in quello studio così caotico, cupo, essere quasi infastiditi da quella nota dissonante. Eppure, eccola lì davanti ai nostri occhi: l’oscurità di Branwell non sembra poi così diversa da quella stessa oscurità che ritroviamo a volte nei romanzi delle sorelle, che così profondamente ci sconvolge, e che tanto amiamo.

Serena

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