Cime tempestose

Fu Walter a guidarci. La cugina
di sua madre ereditò il servizio
da minestra dei Bronte.
Gli facevano pena. Gli scrittori,
gente patetica. Si nascondono e inventano.
Ma il tuo transatlantico entusiasmo
seppe entusiasmarlo. Lo rese effervescente
come il vino di rabarbaro invecchiato troppo a lungo:
che annata di leggende e dicerie
su quelle povere figliole. Allora
dopo la canonica, dopo l’ottomana
su cui si spense Emily, dopo i libriccini
decorati a mano, dopo i pizzi
da folletto, le scarpine delle fate,
venne il tempo del sentiero da Stanbury.
Più lunga del previsto la salita
all’Eden privato di Emily.
La brughiera raccolse il proprio fiore
scuro, e lo aprì anche per te.
Ne fosti soddisfatta. Più selvaggio
forse di quanto Emily sapesse.
Coi piedi bagnati e niente in testa
arrancava sul pendio verso gli amici –
probabilmente, una ridotta scura
stagliata contro il cielo. Ed ogni cosa
era nuova ed esaltante per te.
Con il libro che diventava mappa,
Cime tempestose avvizziva mentre salivamo.
Arrivati, lo sguardo fu libero del tutto.
l’aperta brughiera, i raggi gamma,
la luce decomposta delle stelle
se n’erano riappropriati con un cupo
bagliore di braci. Secoli di pace
domestica ridotti in conclusione
a una cava abbandonata. Sul tetto
le tegole erano in parte sbriciolate
ma tutte al loro posto,
le travi indebolite.
Era dura immaginare quale vita
avesse illuminato un tale angusto
e fradicio rifugio. I pavimenti
erano macerie e sterco di pecora.
I telai di porte e finestre
finiti nel fuoco dei campeggiatori
o evaporati. Solamente
i muri di pietra – neri. Il cielo – azzurro.
E il vento tremulo della brughiera.

Le entrate, le perdite – come affronteresti
oggi la morsa di quella lotta,
lo stillicidio di guadagni che vengono
da pochi tori malaticci, da un pugno
di pecore matte? La gente
viveva qui perché non aveva scelta.
Quello scampolo di muro è un tentativo
di giardino? Due alberi piantati
per compagnia, per i giochi dei bambini,
per avere qualcosa da guardare.
Sicomori – nel tronco e nella chioma
ventenni come quelli a valle,
ma di novant’anni.

Respiravi tutto
fiutando invidiosa, emula. Non eri
due volte più ambiziosa di Emily?
Curioso guardarvi, un simile pendant
esaustivo della vastità della tua ambizione,
tra i resti bruciati, consunti
di sforzi vani, di speranze vane –
convinzioni e bisogni di ferro
e legami di ferro, che già
tornavano alla pietra selvaggia.

Salisti su uno dei due alberi,
dove ti si vedeva nella foto,
Emily non lo fece mai.
Tu avevi la libertà, avevi la vita,
il futuro aveva investito in te –
così si potrebbe dire di una gemma
tanto sfaccettata, che riflette
ogni tinta, dove Emily guardava
invece fisso, come un carcerato
in fin di vita. Una poesia si sciolse
da te come una ciocca di capelli
dalla nuca, da recidere e tenere
in un libro.
Cosa l’arcigna, la severa Emily
avrebbe pensato di te, delle tue occhiate
vivaci e della tua speranza enorme?
La tua enorme ipoteca di speranza.
Il vento della brughiera venne a spiarti
con i suoi occhi vuoti, e le nuvole, dirette
altrove, guardavano in tralice;
l’erica ti prestò attenzione idiota,
tremolante di febbre, e la pietra
sporgendosi a toccare la tua mano
ti trovò vera e calda e luminosa
come lei che ti precedette.
E forse uno spettro, ansioso di sentire
le tue parole, scrutò dalle rovine
delle imposte, e fu placato. O si riaccese
all’improvviso di un’invidia raddoppiata
Spenta solamente a poco a poco
nella comprensione.

Ted Hughes

 

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Foto dall’articolo “Ted Hughes: Stronger Than Death” (BBC)

Traduzione di Marco Malvestio

 

 

 

 

Serena