Oltre l’erica di color purpureo e’ possibile vedere in brughiera nei mesi di agosto e settembre anche la felce, che si estende come un mare verde soprattutto nel percorso che da Top Withens porta alle cosiddette Brontë Falls.

La felce, in inglese corrispondente alla parola ‘fern’ era molto considerata nel periodo vittoriano, tanto da avere la prevalenza sui fiori. Veniva pressata e raccolta in album e libri, o fissata sulla carta per essere poi appesa al muro. Le Brontë, che sin da giovani apprezzarono le felci avendo sempre l’opportunità di raccoglierle durante le loro passeggiate in brughiera, ben conoscevano il significato gotico ad esse dato dai poeti romantici e in special modo da Wordsworth e le associarono di conseguenza all’idea di solitudine, isolamento e luoghi in rovina.

Emily Brontë menziona la felce in due sue poesie, ‘How still, how happy’(Calma, felicita’) e la famosa ‘Remembrance’ (Freddo nella terra – pesa su di te la neve profonda).

Charlotte aveva una predilezione per le felci, che raccoglieva e pressava in un album in quanto connesse al mondo delle fate e del soprannaturale. L’amica Mary Taylor le inviò dalla Nuova Zelanda diverse specie esotiche e durante il suo viaggio di nozze in Irlanda, Charlotte raccolse e presso’ per il proprio album molte felci soprattutto a Killarney, sulla costa meridionale, ove ne esistevano più di cinquanta specie, probabilmente per ricordare in quel modo l’esperienza matrimoniale.[1]   

 In Jane Eyre Charlotte Brontë fa in modo che la protagonista ritrovi l’amato Rochester a Ferndean, ‘una valle di felci’, dopo aver superato terribili prove in altre case dai nomi parimenti simbolici. Fearnden, luogo di fascinazione immerso tra felci e vegetazione è quindi sinonimo di luogo isolato e remoto che solo una fata, Jane appunto, potra’ riportare alla vita.

 

Maddalena De Leo

[1] Come suggerito da Deborah Lutz in The Brontë Cabinet, W.W,.Norton & Co., 2015, pag. 233.

 

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